Flauto In Canto è uno studio innovativo, pratico ed essenziale che esplora tutti gli aspetti della vocalità in specifica relazione con la tecnica flautistica. Imparando a cantare bene, si suona meglio.
Imparando a suonare il flauto si perverrà ad una maggior perfezione se, nello stesso tempo, ci si applicherà ugualmente alla
scienza del basso continuo se non a quella della composizione. Se un principiante avesse inoltre l’opportunità di dedicarsi allo studio
dell’arte del canto, sia che ciò avvenga prima o durante i suoi studi sul flauto, gli raccomanderei caldamente di approfittarne. In questo
modo acquisirà più facilmente una buona esecuzione sul flauto, e la conoscenza di tale arte gli procurerà grandi vantaggi nel corretto
abbellimento di un Adagio. Non resterà allora un semplice flautista ma si preparerà il cammino per divenire un vero musicista.
Johann Joachim Quantz
Nel trattato di Quantz, sono numerosi i riferimenti alla voce e al canto ed è lecito pensare che all’epoca, chi aveva possibilità di studiare il flauto avesse spesso anche conoscenza delle basi del canto. Questo giustifica il linguaggio specifico e al tempo stesso l’interesse generale che nel trattato è riservato alla voce.
Oggi il flauto ha conquistato uno spazio importante come strumento solista, avendo avuto un vero exploit nel secolo scorso, grazie alla grande scuola francese e alla copiosa letteratura che al flauto è stata dedicata.
Le conoscenze relative alle tecniche e alle possibilità espressive del flauto nel linguaggio contemporaneo, così come l’evoluzione della meccanica dello strumento, hanno contribuito fortemente all’acquisizione di nuovi elementi, ampliando di fatto il perimetro delle possibilità sonore ed espressive del flauto. Leggendo “The Other Flute” di Robert Dick è facile avere una panoramica completa riguardo alle tecniche estese sul flauto.
Tuttavia, le parole di Quantz, ispirate dalla semplice ma illuminata ambizione che il flauto possa trarre ispirazione dal più vicino ed espressivo degli strumenti musicali che è la voce umana, sono sempre attuali e sembrano riportarci alla necessità di abbracciare la natura più nobile dello strumento.
In termini generici, il riferimento alla vocalità non ha mai smesso di esistere ed è infatti sempre presente nella metodica attuale. Di grande interesse tra i volumi editi negli ultimi anni ed eloquenti già nel titolo ci sono ad esempio: “Cantabile è …flauto!” di Claudio Montafia e “The Singing Flute” di Peter Lukas Graf, ottimi esempi di come dovrebbe essere la pratica quotidiana della cura del suono attraverso l’esecuzione col flauto di semplici vocalizzi, proprio come fanno i cantanti, o di temi cantabili declinati in tutte le tonalità possibili. Quest’ultima pratica è fondamentale per sviluppare l’orecchio e il senso del fraseggio, facendo in modo che sia l’idea della frase a guidare le dita e il fiato e non viceversa.
Un altro esempio in cui la pratica del canto è associata al flauto, a mio avviso più legata ad azioni meccaniche che inducono ad aprire il suono attraverso la voce, che al raggiungimento di una piena consapevolezza del proprio potenziale sonoro attraverso la voce, è quello degli esercizi seguenti:
Gli studi presi in esempio, tratti da “Check Up” di Peter Lukas Graf e “Dentro il Suono” di Giampaolo Pretto, suggeriscono allo studente di cantare e suonare simultaneamente e sono indubbiamente molto utili per liberare la gola e la laringe, abituando di conseguenza le labbra a reagire agli stimoli differenti che arrivano dall’ intonazione di diverse note e diversi registri della voce ma hanno secondo me il limite che la voce viene utilizzata in modo condizionato dal flauto.
Il fatto che lo strumento resti “attaccato addosso” per tutto il tempo anche cantando, limita la percezione della voce e induce a mantenere una posizione che, data l’asimmetria posturale a cui il flauto traverso obbliga, non è del tutto naturale per il corpo. Ciò non significa che non si possa avere una buona postura col flauto, significa solo che una buona postura sarà sempre e comunque un compromesso fatto di compensazioni, di certo le migliori possibili, che cercheremo e miglioreremo nel tempo.
Approcciandosi alla vocalità dunque è secondo me utile invertire il punto di partenza che non è il flauto ma la voce;
il flauto si aggiungerà poi al nostro corpo e, riscaldato dal nostro fiato, prenderà vita fino a farne parte.
Ogni vero progresso nello studio del canto si accompagna sempre a un senso liberatorio ed euforico di facilità, di sempificazione degli
strumenti di controllo, di naturalezza, di ritrovata armonia ed equilibrio di tutto il corpo, visibile anche esternamente.
La tecnica, trascendendo sé stessa, non si oppone alla natura ma si pone in sintonia con le sue dimensioni più profonde. Questo fa sì
che la complessità, che di per sé caratterizza il canto a risonanza libera, possa e debba manifestarsi, al contrario della complicazione
tipica dell’artificio, come semplicità. Tutto ciò viene vissuto come ritrovamento di una verità (in questo caso la coordinazione
muscolare globale naturale) che giaceva sepolta dentro di noi e che, mollando la presa e cessando di andare controcorrente, siamo
riusciti finalmente a lasciare emergere.
Antonio Juvarra